a cura di Elena Marra e Simone Ribero
Per il trattamento del melanoma metastatico sono possibili tre trattamenti di combinazione con inibitori di BRAF e MEK (BRAFi/MEKi) [1,2]:
- vemurafenib + cobimetinib
- dabrafenib + trametinib
- encorafenib + binimetinib.
Questi tre trattamenti presentano distinti profili di sicurezza, nello specifico inoltre Encorafenib ha un’emivita di 30 ore, rispetto alle 2 ore del dabrafenib e le 0.5 ore del vemurafenib [3]. Encorafenib presenta un blocco dell’inibizione più forte rispetto a dabrafenib o vemurafenib nelle cellule BRAF V600–mutate [3]. Encorafenib presenta inoltre una più ampia azione nelle cellule mutate senza però avere un’attivazione paradossa, questo spiega le differenze negli avventi avversi, specialmente per quelli cutanei, di questi 3 farmaci.
Gli eventi avversi riscontrati nei vari studi sono risultati essere seri nel 34%-37%, un discontinuazione del farmaco nel 13-15% dei casi è una riduzione/modificazione della dose nel 45%-55% dei casi. Eventi avversi gravi sono stati riportati con una maggior incidenza nei pazienti trattati con vemurafenib/cobimetinib (71%) rispetto a quelli trattati con gli altri regimi (52% dabrafenib/trametinib, 58% encorafenib/binimetinib) [4,5,6].
Chiare evidenze tra i vari farmaci sono state viste in alcuni eventi avversi quali:
- la diarrea,
- le artralgie,
- il rash cutaneo (comparsa di formazioni di irritazioni di diverso tipo della pelle),
- la fotosensibilità,
- l’aumento di transaminasi ALT epatica (soprattutto nell’uso di vemurafenib/cobimetinib),
- la febbre, l’aumento di pressione arteriosa, la tosse e i brividi (nell’uso di dabrafenib/trametinib),
- aumento dell’enzima Creatina Kinasi/CK nel sangue periferico (nell’uso di encorafenib/binimetinib).
1.1 Effetti a lungo termine
Ad oggi ancora nessun trial è stato fatto per studiare le conseguenze a lungo termine dei trattamenti con inibitori di BRAF. Con il riscontro di seconde neoplasie e l’uso sempre più diffuso di tali farmaci nei pazienti con melanoma metastatico BRAF mutato e altre neoplasie, questo è un fattore da non sottovalutare. Finché non sarà sviluppata una linea guida di trattamento è pertanto fondamentale seguire uno stretto follow up dermatologico e oncologico di questi pazienti. Infatti è stato dimostrato che il trattamento con i farmaci inibitori del gene BRAF provochi lo sviluppo di tumori RAS mutati, pertanto è fondamentale uno stretto monitoraggio dei pazienti con un’ anamnesi positiva per tali neoplasie. Ad oggi è stata dimostrata un’associazione tra l’uso dei farmaci BRAF inibitori e lo sviluppo di poliposi colica e gastrica, pertanto sarebbe utile eseguire anche indagini endoscopiche in pazienti con sintomatologie gastrointestinali. [7]
L’uso degli inibitori di Braf associato agli inibitori di Med ha permesso non solo di ridurre gli effetti collaterali legati all’inibizione di braf, comprese le seconde neoplasie, ma anche ad una maggior efficacia del farmaco stesso [8,9].
1.2 Tossicità da BRAFi
Fondamentale risulta la gestione degli eventi avversi causati dai farmaci BRAF inibitori, soprattutto per l’impatto sulla qualità di vita del paziente stesso. I principali eventi avversi di tali terapie si manifestano soprattutto a livello cutaneo; insorgendo negli studi sul Vemurafenib rispettivamente nel 93 % dei pazienti nel BRIM-3 (312/336), 95 % nel BRIM-2 (125/132) e 92%
nel BRIM-4 (48/52). La maggior parte di queste manifestazioni sono rappresentate dall’ipercheratosi e dal Cheratoacantoma (KAs) fino all’epitelioma squamocellulare (SCCs) e allo sviluppo di nuovi melanomi. Sono inoltre stati descritti casi di poliposi colica e gastrica e lo sviluppo di tumori RAS mutati durante il trattamento con gli inibitori di BRAF.
L’associazione dei farmaci inibitori di BRAF e degli inibitori di MEK ha portato ad una riduzione degli eventi avversi e ad una riduzione della proliferazione cellulare cutanea con una netta riduzione nello sviluppo di KAs e SCCs. [7] Gli effetti collaterali dei farmaci BRAF inibitori sono relativamente comuni alle tre molecole.
Eventi avversi di grado 3/4 sono stati descritti negli studi COMBI-V (9,27,28), co-BRIM (31,34) e COLUMBUS (22,23,32) rispettivamente in 52%, 71,3% e 58%. La maggior parte degli eventi è stata descritta soprattutto nei pazienti in terapia con vemurafenib/cobimetinib rispetto agli altri trattamenti, nello specifico alcuni eventi avversi (aumento di ALT, aspartato aminotransferasi, rash maculopapulare) in più del >5% rispetto a encorafenib/binimetinib e dabrafenib/trametinib.
Rispettivamente negli studi COMBI-V (9,27,28), co-BRIM (31,34) e COLUMBUS (22,23,32) sono state riscontrate una riduzione del dosaggio in seguito al manifestarsi di eventi avversi nel 55%, 44,5% e 53%, discontinuazione nel 13%, 15% e 15%.
La maggior parte delle tossicità sviluppate da questi farmaci sono peraltro tollerabili e reversibili. La maggior preoccupazione dei clinici tuttavia si basa sul riscontro di un incremento della proliferazione cellulare con lo sviluppo di epiteliomi squamocellulari, cheratoacantomi (AC) e melanomi de novo.[10]
La tossicità di tali farmaci è da attribuire all’attivazione paradossa della via MAPK nelle cellule wildtype esposte a questi farmaci e soggette all’incremento dell’attività RAS, che avviene quando i farmaci inibitori del gene BRAF legano e attivano CRAF wildtype.[10, 11, 12] La causa dell’attivazione paradossale delle cellule BRAF wt è complessa e ancora oggi non chiara, ma coinvolge il legame del farmaco e l’inibizione di un membro del dimero RAF (BRAF-CRAF o CRAF-CRAF), la transattivazione della CRAF non legata al farmaco inibirebbe CRAF e aumenterebbe il segnale della via MAPK.[11, 12] Dati recenti presentano una diversa spiegazione dove l’attivazione paradossale può in effetti essere dovuta al rilascio dell’autofosforilazione di RAF inibitorio [13]. è comunque dimostrato che durante il trattamento con Vemurafenib e Dabrafenib l’attivazione paradossale di MAPK con l’inibizione selettiva di BRAF è coinvolta nella proliferazione cellulare (oncogenesi paradossale).[7]
Gli eventi avversi riscontrati durante il trattamento con gli inibitori di BRAF comprendono artralgie, stanchezza, sintomi gastrointestinali, aumento degli indici di citolisi epatica ed effetti cutanei nel 2-5 % dei pazienti trattati con tali farmaci.[14, 8, 9]
1.2.1 Manifestazioni cutanee
La maggior parte degli eventi avversi include fotosensibilità, rash, alopecia, xerosi, prurito, fibropapillomi, panniculite, eritema facciale, ipercheratosi follicolare e/o cheratosi pilare, ipercheratosi verruciforme, carcinomi a cellule squamose (SCC), cheratoacantomi, eritrodisestesia palmo-plantare, eritema nodoso, e alterazioni dei nevi.[7, 9, 15,16] L’incidenza del Rash variava dal 64 % – 75 %, l’eritema dal 10 % al 14 %, il rash maculopapulare dal 4 % al 21 %, la follicolite dal 6 % al 9 %, e la cheratosi pilare dal 6 % al 10 %, la fotosensibilità dal 35 % al 63 %, e PPE era segnalato in 8 % – 10 % dei pazienti. Gli SCC (compresi KA) si svilupparono in 79 pazienti (23,5 %) nello studio BRIM–3, 34 pazienti (25,8 %) nello studio BRIM–2, e 10 pazienti (19,2 %) nello studio BRIM–4.
Altri eventi avversi comuni che si verificarono nel 10 % dei pazienti trattati con i farmaci BRAF inibitosi sono alopecia (29 % – 45 %), prurito (10 % – 32 %), fibropapillomi (17 % – 31%), ipercheratosi (23% – 30 %), e xerosi cutanea (15 % – 19 %). Infrequenti invece sono state la vasculite, eritema nodoso e panniculite (tutti il 2 %). La maggior parte degli eventi avversi (a parte gli epiteliomi spinocellulari) era di grado 1 o 2. Solo un paziente ha interrotto il trattamento con Vemurafenib per un’eruzione di grado 3 nel BRIM – 3. Altri quattro pazienti hanno interrotto il trattamento con Vemurafenib a causa di Stevens Johnson (SJS), un’epidermilisi bullosa tossica o TEN, un grado 3 di cellulite, e un grado 3 di flushing. La maggior parte degli eventi avversi sono stati riscontrati precocemente durante i primi 4 mesi di terapia. Dei 126 pazienti che sono stati trattati per più di 120 giorni nello studio BRIM – 3, la prima insorgenza della maggior parte avversi è stata riportata prima del giorno 120 (vs dopo giorno 120) tra cui alopecia (86 %), fotosensibilità (98 %) , rash (100 %), ipercheratosi (87 %), prurito (88 %) e fibropapillomi (84 %). I tempi mediani di prima insorgenza di SCC, rash e fotosensibilità erano di rispettivamente di 7,1 settimane, 1.6 settimane e 1,7 settimane.
Rash o manifestazioni maculo–papulari
Le manifestazioni cutanee maculo–papulari si sviluppano nel 36–68 % dei pazienti trattati con Vemurafenib e nel 6 % dei pazienti trattati con Dabrafenib.[13] Nello specifico il rash è stata riscontrata in 42% dei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib, 73% vemurabenib/cobimetinib e 22% di quelli trattati con encorafenib e binimetinib. [4,5,17,19,20]
. [14][3][8] Insorge sul viso, collo, tronco, e arti, è dose–dipendente e di solito inizia tra le 2 – 8 settimane dopo l’inizio della terapia con Vemurafenib. Spesso si associa a prurito e dolori artropatici.[21, 22] L’aspetto clinico è variabile (maculare, maculopapulare, papulare, e papulo – pustolosa), anche se la manifestazione più frequente nei pazienti trattati con Vemurafenib è l’eruzione maculopapulare. L’eruzione cutanea morbilliforme è quella di più frequente riscontro, colpisce generalmente la parte superiore del tronco, ha diffusione centripeta e si associa a prurito. Il secondo tipo di rash è quello di tipo acneiforme, caratterizzato da un’eruzione di papule e pustole, in genere al viso, cuoio capelluto, parte superiore del torace e dorso. L’eruzione acneiforme al viso e al tronco si può associare a milia. Clinicamente le cisti si presentano come piccole papule ipercheratosiche, con un piccolo corno cutaneo al centro, mentre le lesioni non infiammatorie sono cisti bianche di pochi millimetri. Tale manifestazione è stata osservata sia durante il trattamento con Vemurafenib che Dabrafenib/Trematinib. Fenomeni simili sono stati osservati in pazienti che assumevano inibitori di EGFR cetuximab, tra cui, panitumimab, erlotinib e gefitinib.[23] Il meccanismo di questa reazione acneiforme è ad oggi sconosciuto; tuttavia si pensa che agisca l’interruzione della segnalazione fisiologica di EGFR nei follicoli, che conduce a disturbi di proliferazione e differenziazione dei cheratinociti con un’eccessiva produzione di cheratina.[21, 24] L’azione di Vemurafenib o GSK2118436 (inibitore di BRAF) e GSK1120212 (MEK inibitore) a valle di EGFR potrebbe anche interrompere questo processo. È interessante notare che l’esperienza con un altro inibitore MEK sperimentale, Selumetinib, ha dato un rash papulo-pustoso nel 100 % degli 11 pazienti che assumevano il farmaco.[24] Ciò può indicare il ruolo della porzione dell’inibitore MEK di GSK2118436/GSK1120212 in questa reazione. Si ipotizza che il rash sia secondario ad una up–regulation di una via di segnale alternativa, piuttosto che ad una vera ipersensibilità al farmaco.[22] L’insorgenza o la gravità del rash non sembra essere associato con la risposta al trattamento. Nel BRIM – 3 sono stati valutati i casi di rash per determinare se l’interruzione o la riduzione della dose era stata necessaria per la risoluzione del quadro. Circa il 82 % (291/357) dei casi non ha comportato variazioni nel dosaggio del Vemurafenib. Di questi 152 (52 %) hanno avuto una risoluzione spontanea; la maggior parte degli eventi avversi era di grado 1 (202 casi) o 2 (69). Ci sono stati 66 casi di rash per i quali è stata necessaria una modificazione della dose di trattamento; di questi la maggioranza dei casi era un grado 3 (36) o un grado 2 (22). 41 casi (62 %) hanno modificato o sospeso la dose del farmaco. La correlazione tra fototosensibilità e sviluppo di SCC non è stata dimostrata nell’analisi del BRIM – 3. Durante il trattamento con Vemurafenib di frequente riscontro risulta essere una reazione maculopapulosa, pruriginosa che sarebbe una reazione di ipersensibilità. Segni suggestivi di una reazione di ipersensibilità tipo 1, come angioedema, vesciche e anafilassi non sono stati osservati; rari sono stati gli eventi avversi gravi, come SJS e TEN. La maggior parte dei pazienti con rash non hanno ridotto la dose terapeutica di Vemurafenib, con una risoluzione spontanea del quadro di circa il 50 % dei casi.[25]
Istopatologia: Dal punto di vista istopatologico l’aspetto non è specifico; si possono infatti riscontrare infiltrati linfocitari perifollicolari, infiltrati misti perivascolari nel derma superiore con degranulazione degli eosinofili o una reazione all’interfaccia farmaco indotta. Alcuni autori riportano discheratosi acantolitica, sovrapponibile a quella presente nella malattia di Darier o in quella di Grover.[21, 26] Trattamento: Il trattamento del rash è vario ed è simile a quello utilizzato nella comune pratica clinica. Si usano pertanto cortisonici topici, creme emolienti a base di urea e antistaminici in caso di prurito. Se il rash è di grado moderato (G3), o non si risolve al controllo dopo 2 settimane è necessaria l’introduzione di basse dosi di steroidi sistemici (prednisone 0,5 mg/Kg) ed eventualmente una riduzione della dose. In alcuni casi basse dosi di acitretina al 10 mg/die sono risultati essere utili.[27, 21, 22, 27, 28]
Cheratosi pilare
La cheratosi pilare è insorta nel 5–9 % dei pazienti in terapia con Vemurafenib.
Trattamento: Anche in questo caso il trattamento prevede l’uso dei farmaci usati nella pratica clinica quali emollienti topici.
Prurito
Il prurito durante l’assunzione dei farmaci BRAF inibitori può essere localizzato o diffuso e può essere esacerbato dalla xerosi cutanea o dal rash. Si presenta dal 22 al 30 % dei pazienti in trattamento. La sua eziopatogenesi non è ancora nota, si suppone ad oggi un ruolo delle mast cell. Vari livelli di prurito sono stati descritti in associazione alla malattia di Groves (dermatosi acantolitica transitoria), simile al rash che insorge durante l’assunzione di Dabrafenib.[17] Trattamento: L’idratazione cutanea con emollienti permette una riduzione di tale manifestazione. Talvolta, nel 6–7 % dei casi si è reso necessario l’uso di antistaminici.[27]
Fotosensibilità
La fotosensibilità è una reazione cutanea caratterizzata da eritema, talvolta dolore e lesioni bollose, che insorge sulle aree fotoesposte in seguito all’esposizione al sole, in particolar modo all’esposizione a raggi UVA.[18] La fotosensibilità è stata riportata nel 8 % e 55 % dei pazienti arruolati nel BRIM 1 e nel BRIM 2 rispettivamente.[14, 29] Nessun caso di grado 3/4 è stato segnalato durante il trattamento con Dabrafenib, tale tossicità parrebbe quindi correlata con gli eccipienti usati nei due farmaci piuttosto che nell’azione del farmaco stesso. Allo stesso modo anche il trattamento con encorafenib/binimetinib risultano essere praticamente nulli [4].
L’eritema in seguito a fotoesposizione durante la somministrazione di Vemurafenib insorge rapidamente, contrariamente a quanto riscontrato per altri farmaci, in cui l’eritema insorge a distanza di circa 12–24 ore dall’esposizione solare.[18] Inoltre è stato dimostrato che dopo 2 mesi di terapia, le concentrazione di vitamina PP risultano ridotte e il livello di porfirina è significativamente aumentato, suggerendo che la fotosensibilità Vemurafenib-indotta è vitamina PP–e porfirina dipendente.[30]
Trattamento: Per la prevenzione della fotosensibilità, i pazienti dovrebbero evitare l’esposizione al sole e utilizzare cappelli, indumenti, occhiali da sole, e creme solari.[8, 21]
Eritema
Durante il trattamento con gli inbitori del gene BRAF è di comune riscontro l’insorgenza di eritema, che può essere diffuso o localizzato, senza localizzazioni preferenziali. L’eritema può insorgere da solo o in associazione al rash e non è legato all’esposizione solare.[21] La localizzazione al volto si manifesta in modo omogeneo, spesso associato a fine desquamazione, localizzandosi prevalentemente nella regione malare e periorbitale.[31]
Trattamento: L’eritema è trattato con topici a base diidrocortisone 1 %.[21]
Eruzione acneica
In letteratura sono documentati solo pochi casi clinici (3 in J AM Acad dermatol di Marzo 2013), insorti a 4 settimane dall’inizio della terapia. Il Vemurafenib porterebbe all’insorgenza di forme acneiche a causa della disregolazione dell’omeostasi del follicolo, allo stesso modo in cui agiscono il Sorafenib e il EGFRi.[32]
Nello specifico l’acne è stata riscontrata in 10% dei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib, 16% vemurabenib/cobimetinib e 4,4% di quelli trattati con encorafenib e binimetinib. [4,5,33,34,35]
Trattamento: il trattamento prevede steroidi topici, clindamicina topica, tetraciclina per os e isotretinoina orale.[36] La follicolite è stata descritta solo occasionalmente. Si tratta di un’infundibulite suppurativa costituita da papule verrucose con ipercheratosi, che si manifesta
a livello dei glutei e sulla parte superiore degli arti. Tale follicolite appartiene alle cosiddette collagenosi perforanti reattive, che comprendono la malattia di Kyrle, (secondaria all’insufficienza renale), granuloma anulare e pseudoxantoma elastico, in tali patologie una cheratina alterata o tessuto connettivo dermico è eliminato dal derma attraverso l’epidermide.[31]
Alopecia
La terapia con inibitori di BRAF può essere associata con un’alopecia reversibile, non cicatriziale con telogen effluvium sia al cuoio capelluto che al corpo nel 36 % dei pazienti trattati con Vemurafenib, mentre `e presente nel 20 % dei pazienti trattati con Dabrafenib. Si sviluppa in genere dopo 3 –15 settimane dall’inizio del trattamento; in genere a 8 –10 settimane dall’inizio
della terapia con Vemurafenib. Inoltre, in seguito al trattamento, i capelli mostrano cambiamenti strutturali nella forma (da rettilineo a riccio) o di colore (grigio). Tali modifiche sono temporanee e talvolta regrediscono spontaneamente senza riduzione o interruzione della terapia.[21, 30] Durante il trattamento con Dabrafenib è di più frequente riscontro le alterazioni ai capelli come capelli ricci, che in genere insorgono dopo 24 settimane dall’inizio del trattamento.[21] Trattamento: Il trattamento con minoxidil 2 % topico può dare alcuni benefici terapeutici.
Ipercheratosi
L’ipercheratosi localizzata è una forma di cheratinizzazione epidermica aberrante, che può svilupparsi nei pazienti trattati con i farmaci inibitori di BRAF, (sia Vemurafenib che Dabrafenib). Si localizza soprattutto nei punti di pressione, a livello plantare. L’ipercheratosi del palmo delle mani e ai capezzoli è anche stata descritta. In genere queste lesioni sono inizialmente dolorose, senza disestesia, vesciche, desquamazione, eritema o ulcerazioni. In 2–6 settimane, il dolore scompare e l’area interessata rimane ipercheratosica. In alcuni pazienti `e possibile osservare un andamento ciclico di tale manifestazione. Una volta che l’ipercheratosi si manifesta clinicamente si ha una sua risoluzione spontanea e il paziente ha un breve periodo di benessere. Tuttavia, nei sopravvissuti a lungo termine che continuano la terapia con inibitori della BRAF, l’ipercheratosi si ripresenta con i sintomi associati.[31]
Reazioni cutanea mani-piedi/eritodisestesia
La reazione cutanea mani-piedi (HFSR) si presenta come una reazione cutanea caratterizzata da dolore, eritema e gonfiore del palmo delle mani e della pianta dei piedi, associata a disestesia/parestesia.[31] Insorge in genere dopo 4–6 settimane di trattamento.[21] Le aree eritematose s’ispessiscono e diventano ipercheratosiche, simile ai tilomi, talvolta si accompagnano a lesioni bollose. [31] La faccia laterale delle dita e/o le pieghe periungueali possono essere interessate. All’inizio della manifestazione le aree si presentano simmetriche, dolorose, eritematose, per poi diventare ispessite e ipercheratosiche, talvolta accompagnate da bolle, con un rischio aumentato d’infezioni. Il dolore aumenta progressivamente e può interferire con le attività quotidiane del paziente, con conseguente diminuzione della qualità della vita.[31]
Clinicamente distinta dall’eritrodisestesia palmo–plantare o sindrome mano– piede, HFSR si è riscontrata fino al 60 % dei pazienti trattati con Sorafenib o Sunitinib.[37] Questi ultimi inibitori agiscono su diverse vie, tra cui c-KIT, il recettore del fattore di crescita vascolare endoteliale, il recettore del fattore di crescita derivato dalle piastrine, e il recettore Flt3 tirosina chinasi. Il Sorafenib è un inibitore non selettivo di RAF. La rara frequenza di tale patologia durante l’assunzione di Vemurafenib porterebbe a pensare ad un’eziopatogenesi al di fuori della RAF.[28] Si pensa che l’HFSR sia dose dipendente e che agisca attraverso il blocco dei recettori per il VEGF e PDGF, riducendo così la funzione di riparazione del sistema microvascolare nelle aree sottoposte a microtraumi.[27]
Nello specifico la sindrome PPE è stata riscontrata in 5-6% dei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib e vemurabenib/cobimetinib e 6,2% di quelli trattati con encorafenib e binimetinib. [4,5,33,34,35]
Trattamento: trattamenti cheratolitici quali acido Salicilico e steroidi topici possono essere utili.[21] Il Grado 3 di tossicità necessita di una sospensione del trattamento e la gestione attraverso FANS, agonisti GABA e oppioidi per il controllo del dolore.[27]
Lesioni squamoproliferative
Durante i primi studi si sono generate delle incomprensioni sulla reale frequenza delle manifestazioni squamoprolieferative, riportando un alto numero di tumori quali KA ed SCC. In questi studi di grandi dimensioni, infatti i vari tipi di tumori cheratinocitici e le lesioni non neoplastiche erano state descritte insieme e classificate con il nome generico di ipercheratosi.[21] L’ipercheratosi descrive uno strato corneo ispessito a livello epidermico. L’ipercheratosi infundibulare rappresenta il sine qua non per la diagnosi della cheratosi pilaris e della sua variante di lichen spinulosus. Può essere osservata in altri tipi di dermatosi infiammatorie, come la pitiriasi rubra pilaris, il lichen plano pilare e il lupus eritematoso discoide. Così, il collettivo e la descrizione indistinta di dermatiti infiammatorie in associazione con lesioni tumorali e condizioni precancerose non ha favorito una corretta classificazione relativa alla gravità della reazione avversa e alla conseguente gestione del paziente.[31] L’insorgenza dell’ipercheratosi avviene dopo di 7–8 settimane dall’assunzione del farmaco.
Negli studi l’SCC è stato riscontrato in 3% dei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib, 6% vemurabenib/cobimetinib e 2,6% di quelli trattati con encorafenib e binimetinib. [4,5,33,34,35]
Fibropapillomi
Il papilloma è una lesione esofitica benigna, che può avere una forma di cupola a superficie liscia o verrucosa, in zone soggette a maggiore atrito, come ad esempio le pieghe della pelle. Tali lesioni sono istopatologicamente riconosciute come appendici cutanee, essendo caratterizzate da una nucleo centrale fibroso rivestito da un’epidermide leggermente ispessita.[31] Tali lesioni si verificano nel 18 – 30 % dei pazienti nel corso del trattamento con Vemurafenib.[27]
Cheratosi seborroiche
Riportane nel 6 –14 % dei casi le cheratosi seborroiche si manifestano sia nei pazienti trattati con Vemurafenib che in quello trattati con Dabrafenib.
Cheratosi verrucose
Le cheratosi verrucose sono state definite BAVK (BRAF inhibitor associated verrucous keratosis).[38] Clinicamente si presentano come lesioni papulose rilevate a superficie ruvida o ipercheratosica, localizzate soprattutto al volto. Clinicamente sovrapponibili alle verruche comuni, alle cheratosi seborroiche o all’ipercheratosi follicolare. Sono lesioni benigne che insorgono dopo 1–12 settimane dall’inizio della terapia sia su cute fotoesposta che non.[21, 39] Le lesioni ipercheratosiche sono una delle manifestazioni di maggior riscontro durante il trattamento con i farmaci inibitori di BRAF e sono presenti nel 49 – 85 % dei pazienti.[26, 17] Nello studio BREAK 3 sono state riportate nel 12 % dei pazienti in terapia con Dabrafenib.[41] Anche uno studio Australiano le verruche e ipercheratosi sono state riportate in più del 49 % dei pazienti trattati con Dabrafenib.[22] Alcuni autori hanno riferito che tali lesioni sono clinicamente simili a verruche o KA,[38] mentre altri dichiarano che queste lesioni non hanno caratteristiche cliniche e patologiche paragonabili alle altre entità cliniche o patologiche.[17]
Mentre le cheratosi verrucose sono caratterizzate da papillomatosi, acantosi e ipercheratosi, la loro descrizione istopatologica non è costante tra diversi studi per quel che riguarda la presenza o l’assenza di lesioni citologiche HPV– correlate (coilocitosi o granuli cheratinoialini) e la presenza o meno del grado di atipie citologiche nei cheratinociti.[17, 38 ] Pertanto, non è ancora
chiaro se sono stati applicati criteri istopatologici uguali al fine di eseguire una corretta diagnosi differenziale tra cheratosi verrucosa e verruche o cheratosi attiniche. Per alcuni autori le verruche manifestano caratteristiche istologiche simili agli SCC,[17] è comunque stato dimostrato che tali lesioni condividono mutazioni genomiche sovrapponibili agli SCC trovati in pazienti trattati con i farmaci inibitori di BRAF. Si ritiene che queste lesioni siano una fase molto precoce di SCC. Ciò nonostante non tutte le lesioni verrucose evolvono in SCC.[40] Le lesioni ipercheratosiche, comprese le verruche e i milia sono di comune riscontro, il che suggerirebbe l’insorgenza di lesioni proliferative di cheratinociti che evolvono dall’ipercheratosi e dalla cheratosi pilare a KA e SCC. Non è ad oggi conosciuto se alla base dello sviluppo di tale lesioni vi sia un coinvolgimento dell’HPV, che è il patogeno nelle altre neoplasie squamocellulari.[42] Una recente analisi clinica e molecolare delle lesioni asportate durante la somministrazione di Dabrafenib suggerirebbe la mancata presenza del virus HPV in tali lesioni.[17] L’infezione da HPV è stata studiata utilizzando una sonda che rileva vari genotipi (1, 6, 11, 16, 18, 31, 33, 42, 51, 52, 56 e 58); l’infezione è stata trovata solo in 1 su 10 cheratosi verruche e in nessuno dei 6 SCC prelevati da pazienti arruolati nella fase I e II dello studio clinico di Dabrafenib. In contrasto con queste osservazioni, Boussemart et al. hanno segnalato la presenza di evidenze morfologiche d’infezione da HPV (coilociti) nel 66 % dei papillomi verrucosi indotti dal trattamento con Vemurafenib, nel 50 % dei KA e nel 16 % degli SCC.[43] Il numero limitato di casi esaminati in entrambi gli studi non consente però di trarre una conclusione definitiva sul ruolo dell˜OHPV nell’indurre lesioni squamoproliferative durante il trattamento con inibitori di BRAF. Inoltre altri tipi di virus potrebbero essere coinvolti nello sviluppo di tale lesioni.[39] Da segnalare la presenza di acantolisi focale che è stata riportata nel 31 % delle cheratosi verrucoso, [44] e in tali casi la diagnosi differenziale istopatologica include il discheratoma o dermatiti acantolitiche come la malattia di Grover. La natura della cheratosi verrucosa rimane una questione aperta, in quanto sono stati considerati come lesioni benigne da alcuni autori [26] e, potenzialmente maligne da altri.[22] Secondo Chu et al.[26] le cheratosi verrucose assomigliano istologicamente ai papillomi cutanei presenti nella sindrome Costello, che è più frequentemente causata da
mutazioni nelle linee germinali attivanti HRAS, [45,46] e in quelli con sindrome cardio-fascio-cutanea, in cui l’attivazione nella linea germinale porta a mutazioni nel BRAF , MEK1 , MEK2 , e KRAS.[47] Secondo Anforth et al., questo tipo di lesioni non si è dimostrata essere maligna. Tuttavia è presente un grado variabile di displasia epidermica che non è né correlato all’aspetto clinico né al tempo trascorso dal trattamento.[17] Così, queste lesioni sono state considerate varianti potenzialmente precancerose della cute SCC.[22] In particolare, Chu et al. hanno segnalato un caso di cheratosi verrucosa associata ad un carcinoma in situ adiacente,[26] e Mattei et al. hanno dimostrano caratteristiche sovrapposte tra le verruche e gli SCC. Infine, sono state descritte lesioni con caratteristiche clinico-patologiche di difficile interpretazione, sia con caratteristiche di cheratosi verrucose che di KA.[38] Lo studio molecolare ha mostrato la presenza di HRAS, mutazioni di KRAS e PIK3CA nelle cheratosi verrucosa, analoghe alle mutazioni trovate negli SCC durante il trattamento con inibitori di BRAF.[48] Questi dati sono stati presi come prova di uno stretto rapporto genetico tra le due entità e l’ipotesi che le cheratosi verrucose e gli SCC possano rappresentare la stessa lesione in evoluzione tumorale non è da escludere. [49]
Granulomi
Altri 2 casi clinici hanno dimostrato lo sviluppo di lesioni granulomatose durante il trattamento con Dabrafenib/Trametinib. È stato descritto il caso di una paziente che ha manifestato l’insorgenza di lesioni cutanee granulomatose dopo 2 mesi dall’inizio della terapia, trattate con cortisoni topici, e un altro caso di un paziente trattato con Vemurafenib, che sviluppò dopo 5 mesi di trattamento papule granulomatose agli arti. È stato ipotizzato dagli autori che le lesioni manifestassero una reazione infiammatoria nei confronti delle cellule neoplastiche. Tali manifestazioni quindi sarebbero un’indice di risposta al trattamento e non andrebbero pertanto trattate.[50]
Tumori cheratinizzanti
Tutti i pazienti possono sviluppare tumori che insorgono singolarmente o in forme eruttive; i tumori cutanei possono essere cheratosi attiniche, cheratoacantomi, SCCs e BCC. Nei pazienti che assumevano Vemurafenib le cheratosi attiniche si sono manifestante nel 6 –16 % dei casi e durante il trattamento con Dabrafenib nel 5 –10 %. Durante il trattamento con Vemurafenib, SCCs e KAs sono insorti in 12 e 8 % dei pazienti rispettivamente.[51,52] Epiteliomi squamocellulari e cheratoacantomi sono stati riportati nel 19 – 26 % dei pazienti trattati con Vemurafenib in 2 – 36 settimane di trattamento.[25] Durante il trattamento con Dabrafenib, SCCs o KAs sono insorti nel 6 % dei pazienti.[40] Come già riportato l’associazione con l’inibitore di MEK sembra ridurre l’incidenza di SCCs.[53,54] E questo sarebbe una conferma dell’eziopatogenesi legata all’attivazione della via MAPK. Nei KA è stata riscontrata frequentemente la mutazione di P53.[55] L’HPV è stato riscontrato nel 43 % dei casi.[56]
Cheratoacantomi (KAS) I cheratoacantomi (KAS) sono noduli in rapida evoluzione con una zona crateriforme centrale, che originano dai follicoli piliferi. Talvolta queste lesioni presentano una regressione spontanea dopo un certo periodo di tempo. Insorgono circa a 6 –10 settimane dall’inizio della terapia.[21]
Epiteliomi spinocellulari (SCC) La maggior parte degli SCCs insorge su cute fotodanneggiata a distanza di 10 settimane dall’inizio della terapia; dal punto di vista istologico risultano tumori ben differenziati.[22] La distribuzione degli SCC analizzando la fase I del trial includeva testa e collo (41 %), arti superiori (16 %), tronco/dorso/addome (19 %), arti inferiori (25 %) su aree fotoesposte.[57] è interessante notare che tali neoplasie durante il trattamento con Dabrafenib si localizzano in luoghi quali braccia, torace e cosce diversi dalle persone colpite da tumori sporadici e da quelli sviluppati durante il trattamento con Vemurafenib (ad esempio , testa, collo , avambraccio, mano, gamba).[28] Lo sviluppo del primo SCC/KA rispetto alla diagnosi è di 8 – 10 settimane, anche se alcune lesioni si manifestano dopo 3 settimane di trattamento.[14, 22] Fino ad oggi non è stato segnalato alcun caso di metastasi a distanza causato dagli epiteliomi squamocellulari, né di recidive locali dopo l’exeresi di tali lesioni, anche se talvolta queste ultime appaiono di notevoli dimensioni.[27, 58,59] L’insorgenza in un così breve tempo dall’inizio del trattamento, suggerisce che l’inibizione BRAF non può avere effetti cancerogeni diretti, ma può potenziare preesistenti eventi oncogenetici attraverso un’attivazione paradossale della via di segnalazione MAPK indotta dai BRAF inibitori sulle cellule BRAF wt.[60, 12, 58, 61] Una preesistente mutazione RAS nei cheratinociti (mutazione causata da UV o virus) potrebbe ricevere un secondo segnale, causando una crescita cellulare incontrollata e il successivo sviluppo di SCC. [58] Un’altra teoria alternativa è che il farmaco inibitore di BRAF si lega preferenzialmente al sito di legame dell’ATP della BRAF chinasi, lasciando il sito RAF1 disponibile sulla pelle per l’attivazione e la trasmissione di segnali.[62] In circa il 60 % degli SCC insorti durante il trattamento con i farmaci inibitori di BRAF sono state indentificate mutazioni di RAS (prevalentemente HRAS).[63] In generale, numerosi fattori sono coinvolti nello sviluppo degli epiteliomi quali aberrazioni molecolari citogenetiche, virus, genetiche (EDV), che includono mutazione di p53 /p16 INK4 inibitore/RAS e HPV. Nell’analisi del BRIM 3 il 41% degli SCC presentava la mutazione HRAS nell’esone 2 e 3.[25]
Trattamento: Ad oggi il gold standard del trattamento per l’SCC è l’asportazione chirurgica, altri
trattamenti quali la chirurgia di Mohs, PDT sono anche stati applicati con ottimi risultati.[63] Durante il trattamento con i farmaci BRAF inibitori purtroppo lo sviluppo di numerosi epiteliomi si può manifestare anche nello stesso paziente, portando ad un aumento della morbilità e a un incremento dell’ansia nel paziente stesso. Alcuni autori fra cui Anforth et al. Hanno dimostrato che l’uso dei retinoidi sistemici sarebbe un utile agente chemopreventivo nei confronti dell’insorgenza di SCC di pazienti in trattamento con i farmaci BRAF inibitori. Basandosi sul fatto che il trattamento con retinoidi sistemici è stato usato con successo per prevenire lo sviluppo di SCC in pazienti immunodepressi dopo trapianto renale.[64, 65, 66, 67, 68] Basandosi sul fatto che i retinodi sistemici legando la via MAPK portano ad una riduzione dei livelli di pBRAF e pERK1 / 2 sulla cute dei topi trattati con agenti cancerogeni.[69] Tali autori hanno studiato quindi otto pazienti con melanoma metastatico trattati con i farmaci inibitori di BRAF e in cui l’uso del retinoidi sistemici come acitretina (iniziata al dosaggio di 10 mg die fino ad un dosaggio massimo di 50 mg die), era risultato essere un utile agente chemo-preventivo ad un mese dall’inizio della somministrazione.[41, 70]
Rimane da sottolineare che lo sviluppo delle lesioni ipercheratosiche nei pazienti in trattamento con i farmaci inibitori di BRAF sono avvenuti nelle prime 12 – 24 settimane.[8][22] Quindi se l’acitretina è introdotta oltre a questo periodo, la riduzione del numero delle lesioni ipercheratosiche può essere il risultato della progressione naturale delle lesioni. Altri autori suggeriscono l’uso di Celecoxib sistemico per prevenire l’insorgenza di SCC. Tale studio si è per ora applicato solo a modelli murini. Il razionale di tale proposta sta nel fatto che questo farmaco inibisce PLX4720, che stimola a sua volta DMBA/TPA, che porta allo sviluppo tumorale, non riuscendo però a dimostrare un’azione sulla via MAPK.[71]
Proliferazione melanocitarie
Anche se l’insorgenza di nuovi melanomi sono meno frequenti rispetto alle lesioni squamoproliferative, tali eventi sono stati riportati in pazienti in terapia Vemurafenib.[72,73] La proliferazione melanocitica sembra essere causata dall’attivazione paradossale di cellule wild type durante la terapia con inibitori di BRAF, sostenuta da stato di BRAF WT di tutti i nuovi melanocitici.[22, 73] Ad oggi non è ancora stato dimostrato se vi è un vero legame tra l’insorgenza di nuovi melanomi e gli inibitori di BRAF o il tutto sia legato ad una predisposizione individuale allo sviluppo di nuovi melanomi. Dalle et al. hanno segnalato l’insorgenza di 5 melanomi primitivi BRAF WT e un nevo displastico in quattro pazienti sottoposti al farmaco Vemurafenib,[72] mentre sono stati segnalati 2 casi nei pazienti in terapia con Dabrafenib.[40] Nevi melanocitici eruttivi sono stati notati in 7/ 132 pazienti;[14] è stata riportata anche l’attivazione di nevi preesistenti con segni di regressione o variazione della pigmentazione. In particolare, queste lesioni si presentavano soprattutto a livello acrale. Le conseguenze a lungo termine di questi eventi proliferativi rimane ad oggi sconosciuto. Lo sviluppo di lesioni cutanee può manifestarsi anche tardivamente a 25 settimane di distanza dall’inizio del trattamento e fino a tutta la durata della terapia.[74]
1.2.2 Altre manifestazioni cutanee meno comuni
Reazione da farmaci
Durante il trattamento con Vemurafenib è stato descritto in alcuni casi un’eruzione esantematica da farmaco. Il farmaco non induce una reazione da ipersensibilità dopo la sospensione e la riassunzione dello stesso, suggerendo l’attivazione di segnali diversi. Va comunque segnalato che la sindrome di Stevens–Johnson è stata riportata in un paziente del trial in fase III durante il trattamento con Vemurafenib.[27]
Panniculite
La panniculite è rappresentata da noduli sottocutanei di colorito violaceo, dolenti e dolorabili, spesso associati a febbre e artralgie, simili all’eritema nodoso; è stata descritta in associazione sia al trattamento con Vemurafenib che con Darbrafenib.[15, 17, 75] Tali manifestazioni richiedono la sospensione del farmaco nella maggior parte dei casi a causa dell’importante dolore da esse generato. Non è ad oggi chiaro il ruolo ricoperto dagli inibitori di BRAF nello sviluppo di tale evento avverso.[21] Poiché tale sintomatologia, come le artralgie, presenta una buona risposta ai farmaci antinfiammatori quali etoricoxib, Zimmer et al. considerano tale manifestazione una reazione infiammatoria non infettiva. Anforth et al. hanno descritto la panniculite priva di artralgie in tre dei loro pazienti in terapia con Dabrafenib; di questi nessuno ha interrotto o avuto una riduzione del dosaggio del farmaco.[27]
BCC
L’epitelioma basocellulare è stato descritto sia durante il trattamento con Vemurafenib che con Sorafenib. Anche in questo caso la sua ezioptatogenesi è legata all’attivazione della via MAPK.[27]
Nell’associazione con i MEK inibitori il riscontro di BCC e risultato essere del 3 % nello studio COMBI-d [76]), 4,5% nei pazienti trattati con vemurabenib e cobimetinib (studio co-BRIM) e 1,6% nello studio COLUMBUS [33, 4, 5, 34, 35].
Milia
I milia sono delle piccole cisti infundibulari.[77] L’insorgenza avviene dopo 2 –11 settimane dall’inizio della terapia con Vemurafenib.[21] Tali lesioni sono state rinvenute anche durante il trattamento con Dabrafenib e Sorafenib;[78] l’associazione con modelli murini di ipercheratosi in presenza di inibizione RAF [62] potrebbe implicare un ruolo di MEK / ERK nella patogenesi di queste lesioni. Milia e cisti infundibolari sono stati altresì documentati con l’uso di inibitori di EGFR Gefitinib e Matuzamab [78] suggerendo un ruolo a monte della via MAPK nei disturbi della cheratinizzazione. Il trattamento prevede eritromicina topica.[21]
1.2.3 Eventi avversi gastrointestinali
Gli eventi avversi gastrointestinali principalmente riscontrati durante il trattamento con inibitori di BRAF sono diarrea, nausea e vomito e risultano essere il secondo evento avverso di più frequente riscontro dopo quello cutaneo.
Nello specifico la nausea è stata riscontrata in 34% dei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib, 41% con vemurabenib/cobimetinib ed encorafenib e binimetinib. [33, 4, 5, 34, 35]
La diarrea è maggiormente correlato alla terapia con MEKi ed è l’evento avverso di più comune riscontro, è generalmente di grado 1 alla dose di 2 mg die e lo si tratta con i comuni farmaci antidiarroici. è stata riscontrata in 30% dei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib, 60% in vemurabenib/cobimetinib e 36% di quelli trattati con encorafenib e binimetinib.
In genere la diarrea ha una risoluzione spontanea.
Lo sviluppo di poliposi gastrica o colica è stato riportato nei pazienti in trattamento con Vemurafenib. Nel trial fase I del Vemurafenib, quattro degli otto pazienti che hanno risposto alla terapia per più di 2 anni hanno eseguito una gastroscopia con il riscontro in tre di essi di adenomi multipli al colon e/o Polipi gastrici.[79] Uno di questi pazienti ha presentato sanguinamento gastrointestinale e fu scoperta la presenza gastrica e colica di 11 polipi con la presenza di un’ulcera duodenale sanguinante. Tale paziente aveva eseguito una gastroscopia 5 mesi prima del trattamento con Vemurafenib che era risultata di norma. La maggior parte delle lesioni analizzate presentavano mutazioni nel gene oncosoppressore APC, noto per essere associato con neoplasie del colon–retto. Alcuni dati suggeriscono che la perdita di APC e la segnalazione MAPK sono necessari per lo sviluppo del carcinoma colorettale in modelli murini [10] Inoltre è stato riscontrato un caso di recidiva di neoplasia del colon KRAS mutata durante il trattamento con Dabrafenib e Trametinib. Tale paziente, prima della diagnosi di melanoma, aveva subito la resezione del tumore del colon localizzato. Il melanoma ha risposto alla terapia con i farmaci inibitori di BRAF/ MEK; tuttavia, dopo 12 settimane il paziente ha sviluppato una metastasi cerebrale da carcinoma del colon. La linea cellulare derivata da questa metastasi cerebrale da adenocarcinoma del colon KRAS mutata ha mostrato sensibilità per Trametinib, mentre il Dabrafenib portava ad un aumento della proliferazione cellulare. Dopo la sospensione temporanea dei farmaci `e stata riavviata la somministrazione di solo Dabrafenib, con un’ottima risposta da parte del melanoma, ma mostrando un aumento dei livelli di CEA e nuove lesioni metastatiche pleuriche ed encefaliche da adenocarcinoma del colon.[7, 80]
1.2.4 Altri disordini proliferativi
Gli effetti di proliferazione cellulare legati all’attivazione paradossa di MAPK non sono solo legati al sistema gastroenterico o alla cute ma coinvolgono anche altri organi; sono stati dimostrati casi di neoplasie quali leucemie RAS mutate, dove il trattamento con Vemurafenib ha portato alla crescita di cellule di una preesistente leucemia cronica mielomonocitica con mutazione NRAS, attraverso l’iperattivazione di ERK dopo 11 giorni di trattamento.[10]
1.2.5 Iperpiressia
Durante il trattamento con Dabrafenib/Trametinib la tossicità di più comune riscontro è stata la piressia, che si è verificata nel 71 % dei pazienti (5 % grado 3/4).[61] è la principale causa di discontinuazione, interruzione della dose o riduzione della dose [76, 81] La patogenesi della febbre non è chiara, generalmente si manifesta precocemente ed è spesso recidivante. Il trattamento è vario e prevede una con breve interruzione della dose e trattamento con corticosteroidi di profilassi nei casi ricorrenti.[82]
La febbre è meno comune durante la terapia con encorafenib/binimetinib [83, 4, 84].
1.2.6 Incremento degli indici di citolisi epatica
Durante il trattamento con BRAF e MEKi sono stati descritti casi di elevati valori di ALT AST e ALP. Nello specifico con un riscontrato oltre al 60% dei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib, 73% vemurabenib/cobimetinib e 29% di quelli trattati con encorafenib e binimetinib. [4, 5, 33, 34, 35]
1.2.7 Incremento del CK
Un aumento del CK è stato riscontrato nel 79% vemurabenib/cobimetinib e 58% di quelli trattati con encorafenib e binimetinib, mentre non è stato monitorato nei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib. [4, 5, 33, 34, 35]
1.3 Tossicità da MEKi
L’evento avverso di più comune riscontro durante il trattamento con inibitori di MEK è risultato essere quello cutaneo con la comparsa di un rash acneiforme nell’80 % dei casi, seguito da diarrea nel 42 %, entrambe le manifestazioni si sono presentate come grado 1 o 2.[85]
1.3.1 Distacco di retina
Alcuni casi di retinopatia indotti dall’assunzione dei farmaci inibitori di MEK sono stati riportati in letteratura. Nello studio prospettico di fase I/II degli inibitori di B-Raf/MEK, il 2 % dei pazienti arruolati nel gruppo delle alte dosi ha sviluppato corioretinopatia. Velez-Montoya et al. hanno descritto 3 casi in diversi trials clinici sugli inibitori di MEK/ERK i quali hanno sviluppato una retinopatia centrale (CSR), uno dei quali multifocale. In altri trial, sono stati riportati casi di 6 pazienti (21 %) che hanno sviluppato una retinopatia centrale sierosa dopo trattamento con MEK inibitori. Di questi 6 pazienti, 5 hanno avuto una risoluzione della sintomatologia con la riduzione della dose e uno ha sospeso la terapia, rimanendo sintomatico per 11 giorni. Il meccanismo per il quale si sviluppa la retinopatia durante il trattamento con inibitori di MEK non è ad oggi chiaro, si pensa che il farmaco inibitore di MAK porti ad una tossicità a livello della retina a livello dell’epitelio pigmentato (RPE) e ad un conseguente danno a livello della barriera ematica. A conferma di ciò, la via di MEK sembra essere di rilevante importanza nel mantenimento del flusso sanguigno alla retina e protegge lo strato pigmentato delle cellule retiniche dallo stress ossidativo e dal danno indotto dalla luce. In modelli animali è stato dimostrato che il farmaco MEK inibitore induce uno stress ossidativo e una flogosi con seguente danno a livello della retina e un’iperpermeabilità su RPE.[86]
Nel trattamento di associazione solo pochi casi sono stati descritti per la tossicità oculare (retinopatia, uveite, trombosi) grave dei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib e vemurabenib/cobimetinib ed encorafenib e binimetinib. [4, 5, 33, 34, 35]
1.3.2 Edemi declivi
Nello studio di Schoenberger et al gli edemi periferici sono stati riportati in 1/3 pazienti, riportando l’edema periorbitario in un minor numero di casi.
Questo evento avverso è stata riscontrato in 25% dei pazienti trattati con dabrafenib/trametinib, 12,6% con vemurabenib/cobimetinib e 13% di quelli trattati con encorafenib e binimetinib. [4, 5, 33, 34, 35] Nessun evento ha superato il grado 2.
1.3.3 Riduzione della FE
Sempre nello studio di Schoenberger et al 2 pazienti (meno del 1%) hanno manifestato un grado 3 di disfunzione del ventricolo destro o una riduzione della frazione di eiezione. Nel 8 % dei casi è stata dimostrata una correlazione con il trattamento: la maggior parte era di grado 2. Dei 2 gradi 3, uno ha avuto una risoluzione alla sospensione del trattamento con Trametinib. La causa della riduzione della frazione di eiezione in correlazione con il trattamento con inibitori di MEK non è ancora oggi chiara, ma poiché una tossicità cardiaca è stata riportata in altri MEK inibitori, questo evento avverso è correlato a un effetto legato all’azione su MEK.
Terapia adiuvante
Per concludere il trattamento con Dabrafenib e trametinib è stato approvato anche nella terapia adiuvante del melanoma, ottenendo dei buoni risultati nei pazienti affetti da melanoma in stadio III BRAF mutato. Anche in questo caso il profilo di sicurezza e gli eventi avversi sono risultati essere sovrapponibili a quelli riscontrati nella terapia dello stadio IV, tra cui i più comuni: febbre (63%, grado 3 o 4 5%), stanchezza (47%, grado 3 o 4 4%), nausea (40%, grado 3 o 4 <1%), insorgenza di SCC (2%) e tumori non cutanei nel 2% dei casi.
In questo studio il 26% dei pazienti ha sospeso il farmaco a causa degli eventi avversi, il 38% ha richiesto una riduzione della dose e il 66% ha temporaneamente interrotto la somministrazione a causa degli eventi avversi.[87]
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