A cura di Riccardo Marconcini e Marco Palla
In oncologia i trattamenti utilizzati molto spesso riescono a controllare, o ridurre le neoplasie soltanto in una parte dei pazienti trattati. Anche nel trattamento del melanoma, ciascuna opzione terapeutica è in grado di ottenere risposte rilevanti solo in un sottogruppo di pazienti, ed anche i trattamenti immunoterapici riescono a dare un beneficio solo in una parte dei pazienti affetti da melanoma a cui vengono somministrati. Lo sforzo della comunità scientifica è quello di individuare dei marcatori in grado di predire la risposta al trattamento per riuscire a selezionare meglio il miglior trattamento per il singolo paziente.
Uno dei temi di ricerca attuali nel campo dei trattamenti immunoterapici per il melanoma è proprio la ricerca di marcatori in grado di predire la risposta all’immunoterapia e quindi ottimizzare la selezione dei pazienti.
I marcatori indagati vengono ricercati tra qui fattori biologici coinvolti nell’interazione tra sistema immunitario e tumore.
Carico mutazionale
Tutte le cellule esprimono sulla propria superfice degli “antigeni” ovvero molecole che vengono viste dai linfociti (nei globuli bianchi) del sistema immunitario: se la cellula è sana, gli antigeni espressi saranno riconosciuti come normali e i linfociti non si attiveranno contro le cellule. Se la cellula è tumorale, come le cellule di melanoma, antigeni anomali saranno espressi sulla superficie cellulare, i quali verranno riconosciuti come estranei dai linfociti, con conseguente loro attivazione, innescando la risposta immunitaria contro tali cellule alterate.
Non tutte le cellule di melanoma sono uguali, e cellule diverse possono avere un accumulo di anomalie diverse: le caratteristiche di una cellula sono codificate nelle molecole di DNA della cellula: se il DNA presenta un numero elevato di mutazioni vi è una elevata possibilità che vengano espresse proteine anomale che possono dare origine ad un numero maggiore degli antigeni anomali di cui sopra, con conseguente più alta probabilità di innescare l’attivazione linfocitaria.
Dato che l’immunoterapia stimola il sistema immunitario ad attivarsi contro il tumore, si è notato che i melanomi con più alto carico tumorale possano avere una più alta probabilità di successo all’immunoterapia: il carico mutazionale è quindi un candidato marcatore predittivo all’immunoterapia.
Sistema HLA
Gli antigeni sono espressi sulla superficie delle cellule accolti da alcuni recettori che ne aiutano la presentazione ai linfociti, i quali sono in grado di leggere gli antigeni associati ai recettori deputati alla presentazione antigenica. Se il paziente presenta costitutivamente recettori variegati e diversi tra loro ha una più alta possibilità di presentare antigeni anomali ai linfociti. La diversità costitutiva di tali recettori (detto aplotipo HLA) è un altro importante fattore potenzialmente correlato ad una migliore risposta ai trattamenti immunoterapici.
Cellule e fattori circolanti
I globuli bianchi che circolano nel nostro organismo appartengono a diverse tipologie e ciascuna tipologia ha funzioni diverse: i linfociti sono la categoria maggiormente coinvolta nell’attività di rimozione delle cellule tumorali: anche tra i linfociti esistono sottogruppi diversi. Si è visto che avere, prima di iniziare il trattamento, un numero più alto delle popolazioni linfocitarie maggiormente attive possa essere correlato ad una maggiore probabilità di risposta delle terapie immunomodulanti; anche la presenza elevata di quelle molecole solubili prodotte dalle popolazioni linfocitarie attive contro i tumori può potenzialmente correlare con una maggiore risposta agli immunoterapici.
Cellule immunitarie infiltranti il tumore
I tumori sono dei veri e propri tessuti organizzati nei quali oltre alle cellule maligne è presente un microambiente tumorale (“tumor microenvironment, TME”) in cui è possibile riscontrare cellule del sistema immunitario (tra esse, svolgono un’attività contrapposta quelle in grado di favorire la distruzione delle cellule tumorali stesse e quelle ad attività regolatrice o soppressiva della risposta immunitaria), vasi sanguigni, cellule connettivali, e matrice extracellulare. Negli ultimi anni grazie all’avvento dell’immunoterapia, un importante oggetto di studio è stato il rapporto tra le cellule tumorali e le cellule del sistema immunitario del microambiente tumorale. In particolare, è stato rilevato su diversi campioni tessutali neoplastici, tra cui anche quelli del melanoma, come i tumori possano essere distinti in “caldi”, in cui il microambiente è costituito da un infiltrato infiammatorio ricco di cellule T, ed in “freddi”, in cui il microambiente risulta privo o scarsamente popolato da cellule immunitarie.
La distribuzione delle cellule immunitarie all’interno del tumore, il tipo di cellule ed il loro stato di attivazione sono stati riconosciuti come elementi cruciali nel determinare il grado e l’intensità della risposta ai farmaci immunoterapici.
Attualmente, vi sono alcune controversie su quali cellule immunitarie siano importanti nel promuovere l'immunità antitumorale bloccando così la progressione del tumore. Alcuni studi su campioni tumorali hanno evidenziato come la presenza di pattern di infiltrato predominante linfocitario costituito da cellule T citotossiche CD8 +, cellule CD4 + Th1, cellule NK e cellule dendritiche mature possa maggiormente indurre benefici al trattamento con l'immunoterapia rispetto ai tumori privi di tale linfociti infiltranti il tumore. I tumori infiammati pertanto ospitano un gran numero di linfociti T alla periferia ed all’interno del tumore con aumento dell'espressione dei marcatori di attivazione delle cellule T, dell’interferone di tipo 1 e alti livelli di citochine e chemochine Th1, che a loro volta possono favorire il reclutamento delle cellule T e attivare le funzioni effettrici. Al contrario, il microambiente tumorale non infiammato ha poche cellule T effettrici e prevalenza di cellule espressione di infiammazione cronica come macrofagi, MDSCs (cellule a funzione soppressiva di derivazione midollare; myeloid-derived suppressor cells), citochine Th2 e chemochine associate al tumore, con conseguente creazione di un microambiente immunosoppresso che consente la progressione del tumore.
Comprendere pertanto se un tumore è immunologicamente freddo o caldo ha risvolti terapeutici importanti. Nei tumori immunologicamente caldi, il problema è che il cancro agisce attivando dei freni molecolari (ad esempio: l’asse di segnali inibitori PD-1/PD-L1) che agiscono sulle cellule immunitarie; infatti, l’utilizzo di anticorpi checkpoint che disattivano tale freno - quindi, la funzione di PD-1/PD-L1 - consente alle cellule T di riacquisire la loro attività di cellule in grado di riconoscere il tumore (in pratica, viene “sbloccato il blocco” all’attivazione immunitaria). Questa attività è stata evidenziata in molti tumori, specialmente nel melanoma e nel cancro ai polmoni.
PD-L1
Il ligando di morte programmato 1 (programmed death-ligand 1, PD-L1) è il principale ligando del recettore PD-1 (programmed death-1), che può essere costitutivamente espresso o indotto in cellule mieloidi, linfoidi, normali epiteliali e nel cancro.
In condizioni fisiologiche, l'interazione PD-1/PD-L1 è essenziale nello sviluppo della tolleranza immunitaria che consiste nell’impedire al sistema immunitario di avere risposte eccessive che porterebbero alla distruzione dei tessuti e/o all'insorgenza di malattie autoimmunitarie
L'espressione di PD-L1 può essere costitutiva o inducibile. L'espressione costitutiva, ossia sempre presente sulle cellule e indipendente da stimoli inducenti, può essere trovata a basso livello su linfociti a riposo, sulle cellule presentanti l'antigene (APC) e nelle cellule corneali, sinciziotrofoblastiche e di Langerhans dove contribuiscono all'omeostasi tissutale nelle risposte pro-infiammatorie. PD-L1 pertanto conferisce a determinati tessuti come la placenta, il testicolo e la camera anteriore dell'occhio uno stato "immune privilegiato", in cui l'inoculazione di antigeni esogeni è tollerata senza induzione di una risposta immunitaria infiammatoria. immunitaria.
Nel contesto di un processo infettivo o infiammatorio, PD-L1 è indotta come segnale di soppressione sulle cellule emopoietiche, endoteliali ed epiteliali.
Pertanto il PD-L1 è coinvolto nei processi di una tolleranza centrale e periferica ossia selezione negativa dei linfociti autoreattivi che avvengono in organi linfatici primari (tolleranza centrale) e secondari (tolleranza periferica), nel processo cosiddetto di “esaurimento immunitario” ossia il progressivo deterioramento della funzione delle cellule T effettrici dopo la presentazione persistente dell'antigene, meccanismo fisiologico che impedisce la distruzione dei tessuti nelle infezioni croniche, ed infine nella regolazione della risposta immunitaria antitumorale dove l'espressione di PD-L1 viene sfruttata dalle cellule maligne per inibire l’attività del sistema immunitario.
Nell’ottica di quest’ultima caratteristica, l'espressione di PD-L1 è un meccanismo sfruttato da vari tipi di tumori al fine di evadere le cellule del sistema immunitario e ciò potrebbe associarsi una prognosi peggiore.
Nel melanoma, ad esempio, la prevalenza dell'espressione di PD-L1 nel melanoma varia dal 24% al 49%, ed è più alto (~60%) nel caso di suo sviluppo su pelle cronica danneggiata dal sole mentre è più bassa nel melanoma uveale (10%). Il PD-L1 è un fattore indipendente di prognosi peggiore, essendo quest’ultima fortemente correlata allo spessore del tumore, alla diffusione linfatica e viscerale, e nel melanoma mutante BRAF, la sovra-espressione di PD-L1 è una caratteristica adattiva della resistenza agli inibitori di BRAF. Nello studio KEYNOTE-001, i pazienti con tumori con sovra-espressione di PD-L1 presentavano tassi di risposta >50% e una sopravvivenza libera da progressione e in generale più lunga. Tuttavia, le risposte durature osservate nei tumori PD-L1-negativi sono associate a risposte durature e croniche delle terapie anti-PD-1/PD-L1 indipendentemente dallo stato di PD-L1.
Molte ipotesi sono state avanzate per spiegare la differenza di risultati tra i vari studi clinici come il tipo di immunoistochimica (IHC) ampiamente adottata nel rilevamento dell'espressione di PD-L1, i diversi anticorpi e le diverse piattaforme, i diversi valori di cutoff e sistemi di punteggio.
Per tale motivo anche se l'espressione di PD-L1 è stata suggerita come un marcatore predittivo di risposta alle terapie anti-PD-1/PD-L1; tuttavia, le prove sul tale ruolo sono contraddittorie.
Interferon gamma (IFN-γ)
L'interferone-gamma (IFN-γ) è una citochina pluripotente il cui nome deriva dalla loro capacità di interferire con la crescita dei virus vivi. Appartiene alla famiglia degli interferoni di tipo II che è prodotto da diverse cellule immunitarie innate e adattative in risposta a stimoli esterni. Pertanto, è indispensabile per i processi fisiologici sia riguardante i meccanismi di difesa immunitaria che nella difesa dell'ospite con azione antimicrobica/antivirale. Inoltre, diverse azioni biologiche di IFN-γ sono anche implicate in gravidanza, obesità, allergie, malattie autoimmuni, e nei tumori.
Nel caso dei tumori, i primi studi cellulari hanno dimostrato che l' IFN-γ è una citochina antitumorale che non solo controlla l'iniziazione e la progressione del tumore, ma modella anche l'immunogenicità del tumore stesso e promuove la crescita delle cellule tumorali con attività immunologiche che hanno rivelato come questa citochina possa avere un duplice ruolo nel modellare l'esito del cancro.
I primi studi sugli effetti dell'IFN-γ su vari tipi di tumore hanno rivelato il suo ampio potenziale anti-tumorale. Tra questi, il più noto effetto IFN-γ-mediato è l'aumento della attività citotossica delle cellule NK e dei CTL come potenti effettori delle risposte antitumorali l'IFN-γ migliora l'antigenicità delle cellule tumorali ad esempio neo-antigeni per aumentare l'immunogenicità delle cellule tumorali, rendendole più suscettibili al riconoscimento e alla distruzione da parte del sistema immunitario.
Circa nello stesso periodo in cui l'IFN-γ galoppava verso la fama come agente anti-tumorale multitasking, iniziarono a comparire le prime segnalazioni delle sue azioni di promozione del tumore.
Questi primi indizi della ricerca pre-clinica delle caratteristiche pro-tumorigeniche dell'IFN-γ, accoppiati a occasionali segnalazioni da studi clinici sugli effetti di crescita del tumore hanno fortemente suggerito l'esistenza di un ruolo a doppio lato dell'IFN-γ nel controllo del tumore.
È oggi evidente che l'IFN-γ:
- primariamente, può facilitare l'iniziazione del tumore e, quindi, promuovere cambiamenti nel fenotipo delle cellule tumorali verso una maggiore idoneità alla crescita nell'ospite immunocompetente;
- secondariamente, può essere intimamente coinvolto in diversi meccanismi omeostatici o attivati dal cancro che promuovono la costituzione di microambiente tumorale immunosoppressore, in cui l’l'IFN-γ seleziona le cellule tumorali in grado di eludere le risposte immunitarie possibilmente attraverso una pressione immunitaria selettiva costante. Si ritiene che tali cellule tumorali sottratte all'immunità perdano la loro espressione di antigene tumorale, che può essere il risultato di ridotti livelli di espressione di antigeni tumorali, perdita dell'espressione di MHC di classe I o alterato macchinario di elaborazione dell'antigene nelle cellule tumorali.
Ci sono prove crescenti che le cellule tumorali maligne stanno sfruttando tali caratteristiche omeostatiche dell'IFN-γ per attenuare l'immunità antitumorale e aumentare la propria progressione. Tra più di 200 geni indotti da IFN-γ, molti di essi codificano le molecole coinvolte nell'evasione immunitaria delle cellule tumorali, come PD-L1, PD-L2, CTLA-4, CIITA, classe MHC non classica antigeni, IDO1, CXCL12, eccetera. L'IFN-γ promuove l'espressione di PD-L1 e PD-L2 non solo nelle cellule tumorali, ma anche in altre cellule stromali incluse le cellule immunitarie infiltranti e sopprime la funzione effettrice delle cellule T tumorali specifiche o delle cellule NK attraverso un'interazione con un sistema immunitario recettore inibitore, PD-1.
L'espressione di PD-L1/2 indotta da IFN-γ è stata anche indicata come un meccanismo di resistenza immunitaria adattativa alla terapia del checkpoint immunitario.